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Skender TEMALI

Skender Temali

Skender Temali

Skender Temali (1946- 2021) è nato e ha vissuto a Scutari, Albania. Giornalista, Poeta, Scrittore.
Laurea in Lettere e Lingua Albanese all’Università di Scutari, Albania.
Per quindici anni ha lavorato a Radio Scutari, alla redazione delle vari riviste nazionali e locali.
Ha insegnato lettere albanesi nei licei della città di Scutari e preside al liceo “Oso Kuka” e  ha coperto il ruolo del vicedirettore della scuola “Zani i Shkodres”, Scutari. E’ stato redattore di diversi libri dei giovani letterati scutarini.
Ha iniziato a pubblicare racconti e poesie da molto giovane nelle riviste e giornali albanesi dell’epoca.
Il suo primo volume di poesie è stato pubblicato nel 1971.
E’ stato presidente del “Club degli scrittori” di Scutari , fondato il 13 dicembre 2013.
E’ incluso in varie enciclopedie letterarie. I suoi libri sono stati tradotti in varie lingue straniere.
In italiano sono tradotte poesie e racconti e pubblicate in versione e-book, i volumi “C’era una volta un noccioleto” poema per bambini ;  e ” Quando soffro, scrivo”, poesie e racconti.
Nel 2018 è uscito in lingua montenegrina il suo racconto “Këtë dimër nuk ra dëborë ” ( It. Questo inverno non nevica)”, edito da “Centar za očuvanje i razvoj kulture manjina Crne Gore”.

Come pubblicista e scrittore ha ricevuto diversi  premi e riconoscimenti al livello nazionale ed internazionale.

Nel 2001 al Concorso Internazionale della Poesia “Le voci dell’anima” organizzato dall’Associazione Culturale “Crisalide” di Cartura, Padova (Italia), tra i 462 concorrenti, il suo racconto “Le scarpe della vergogna” è stato premiato con “Premio Speciale” della Giuria.

Nel 2015 con il poema “Unë, Ballkani dhe Europa” ( it. Io, i Balcani e l’Europa) la Lega degli Scrittori del Kossovo alla manifestazione internazionale “Drini poetik” ( Drino poetico) lo ha insignito con il premio  i “Adem Demaçi”. Pen Klub di Montenegro lo ha insignito con la sua riconoscenza.

Nel 2010, la Biblioteca  “Marin Barleti” di Scutari ha dedicato una serata alla sua attività da scrittore.

E’ stato Ambasciatore della Pace e Membro del Consiglio Nazionale della Federazione per Pace Universale.

I suoi libri si trovano in varie biblioteche nel mondo.
In Italia,  alcuni volumi sono presenti alla Biblioteca Sala Borsa di Bologna e si trovano al reparto del libro in lingua albanese (segui link)

EDIZIONI

In italiano

– C’era una volta un noccioleto – Tradotto da Albana Temali

– Quando soffro, scrivo – Tradotto da Albana Temali

In lingua montenegrina

Ove godine nije pao snijeg” – “Questo inverno non ha nevicato”,- Montenegro, 2018 – edizione CEKUM- Centro per la conservazione e lo sviluppo delle culture delle minoranze a Monenegro, sotto la sigla “Biblioteka SINTEZE, Knjiga XXI”. Tradotto da Pjetër Dreshaj. Redattori Zuvdija Hoxhiq e Dimitrov Popoviq.

-“Izbor iz savremene albanske proze”   – Due lingue un libro – autori albanesi e montenegrini in poesia e prosa. Edizione realizzata grazie ad un progetto europeo, organizzato dal centro “Camaj Pipaj” e l’Università di Scutari.

In albanese

POESIE

S’di te urrej, Shkoder, 2020

-Vajza qe nuk putha, Shkoder 2019

Te pathenat, Casa editrice Florentia , Shkoder, 2016

Curriculum vitae, Casa Editrice “Rozafat”, Shkoder, 2013

Kur vuaj, shkruaj... , Shtepia Botuese “Rozafat”, Shkoder, 2012

Lirika te hershme e te vona, poesie, Shtepia Botuese “Rozafat”, Shkoder, 2012

Tre shoket – poema per bambini, Shtepia Botuese “Camaj-Pipaj”, 2008

– Ishte nje lajthishte – poema per bambini,, Casa Editrice “Gj. Fishta”, Shkoder, 2002

Kenge cigane – poesie –  Shtepia Botuese “N. Frasheri”, Tirane, 1971

ROMANZI
Askushi, Casa Editrice “I.Seferi”, Maqedoni, 2006
Kjo ndodhi ne Lis, Casa Editrice “N.Frasheri”, Tirane, Shqiperi, 1982

RACCONTI

Je miku im – Shkoder, 2022 (edizione e-book postuma)

Nje det pa dallge s’eshte det, aforismi e sentenze – Shkoder 2017

Metamorfoza e inxhinjer Brunos, Shkoder 2016

Stina e divorceve, Shkoder 2014

-Shtepia pa pasqyra, Casa Editrice “Shtjefni”, Shkoder, 2005

Studentja e Bolonjes, Casa Editrice “Shtjefni”, Shkoder, 2005

Neser do te them Miremengjez, Casa Editrice “Shtjefni”, Shkoder, 2003

Kepucet e turpit, Casa Editrice “Gj. Fishta”, Shkoder, 2002

Ballo ne mbremjen e matures, Casa Editrice “Idromeno”, Shkoder, 2001

STUDI 

libri per la didattica

Gjuha Shqipe, liber mesimor – bashkautor me Dr. Mimoza Gjokutaj (Cano)

Letture :
POESIE in italiano

  • La Verita’
  • Il Perchè

RACCONTI in italiano
Le scarpe della vergogna
Nel 2001 al Concorso Internazionale della Poesia “Le voci dell’anima” organizzato dall’Associazione Culturale “Crisalide” di Cartura, Padova (Italia), tra i 462 concorrenti, il suo racconto “Le scarpe della vergogna” è stato premiato con “Premio Speciale” della Giuria.
Quest’inverno non ha nevicato

Skender TEMALI

“La Verità”

Al Mercato delle Bugie
trovò la Verità
e subito la comperò
e la subì
per tutta la vita…

(traduzione dall’originale di Albana Temali)

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Skender TEMALI

“Il Perchè”

A me l’ombra non mi ha mai seguito,

Il “Perchè” sempre,
Gli stavo davanti come un bambino,

L’amavo pazzamente come un’idiota.

E quando qualche volta non veniva,
La notte mi copriva i sogni con il mantello,
dentro sentivo un fitto bosco,
una foresta che mai aveva sentito l’ascia.

Il “Perchè” mi provocava forti pensieri
in questo secolo-dilemma di Amleto
credetemi, non sapevo da che parte andare
come nelle Piramidi d’Egitto

Certe volte mi dava l’universo in mano,
Certe volte mi sdegnava, mi diceva non sei nessuno,
Certe volte mi portava i sogni alla ghigliottina,

Certe volte mi diceva che solo “chi è qualcuno lascia tracce nella vita”

Il “Perchè” era per me la radice della Quercia
Vento caldo, Anima delle tempeste
per questo mi è entrato nelle vene
Il “Perchè”, questa regina delle meraviglie

Senza il “Perchè”, cosa potevo essere io?
Su questa terra, certamente un animale,
come l’Albatros non vive senza la tempesta

neanch’io senza il “Perchè”!

(traduzione dall’originale di Albana Temali )

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Skender TEMALI

Le scarpe della vergogna

(racconto)

Guardo’ a sinistra e a destra ed ebbe l’impressione di conoscere la persona che gli stava venendo incontro. Sicuramente lo conosceva perche’ l’aveva fissato negli occhi.

Poteva darsi che fosse stato uno dei suoi allievi. A dire il vero, era proprio cosi’.
Lui lo saluto’ con poche parole: Buongiorno, professore!
Povero professore: continuo’ a camminare ancora un po’ e poi torno’ indietro.
Doveva stare piu’ attento, ma anche essere piu’ veloce.
Si avvicino’ allo zingaro che vendeva le scarpe usate e, proprio nel momento che si sentiva pronto a chiedere quanto costavano gli scarponcini, arrivo’ un altro saluto. Al diavolo!
Dovette fare un altro piccolo giro fino alla curva vicino all’edificio della radio locale e dopo, senza ombra di dubbio, si sarebbe sentito pronto a chiedere allo zingaro il prezzo delle scarpe.
Ditta Zinga, ditta Zinga, tutta la città si veste con la loro merce – gli aveva detto sua moglie, ma lui sapeva che non era veramente cosi’. C’era tanta gente che si vestiva con abiti e scarpe costose, molto costose e con prezzi pari al suo stipendio mensile.
Mentre faceva la curva vicino all’edificio della radio, senti’ la voce di qualcuno che lo chiamava per nome. Riconobbe la voce del redattore della radio che lo chiamava dalla finestra e senti’ una specie di disturbo. Maledizione, mancava solo lui in quel momento.
Il poliziotto che era in servizio gli diede il permesso di avvicinarsi e comunicare con il redattore attraverso la finestra. Si ricordo’ che aveva fatto un articolo e sicuramente il redattore aveva qualcosa da dirgli in proposito. Ma, no. Sapeva che l’articolo era stato trasmesso anche se lui non aveva avuto modo di sentirlo poiche’ da circa una settimana la corrente elettrica si interrompeva continuamente.
Lo aveva chiamato per comunicargli che doveva andare a ritirate il suo onorario.
Entro’ nell’edificio della radio con la speranza che, con l’onorario, avrebbe potuto affrontare qualche spesa.
Sono pochi, professore – gli disse il cassiere – ma meglio poco che niente. Almeno qualcosa da comperare da “Zinga”.
Dalla “Zinga” … ma come si faceva ad avvicinarti alla “Zinga” che vendeva scarpe di fronte alla radio… Sarebbe stato diverso con una flanella, una maglia: sarebbe venuta sua moglie…
Ma per le scarpe era diverso, le dovevi provare. Altrimenti, se non ti andavano bene, lo zingaro dopo aver incassato i soldi non ti conosceva piu’.
Fece finta di aver capito la battuta del cassiere, mise la sua firma sulla ricevuta senza guardare con esattezza quanti soldi stava per incassare, prese i soldi e li mise nel portofoglio, pensando di andare in un altro posto a contarli.
Ma non voleva sbagliare cosi’ di grosso: poteva sempre esser notato da qualcuno…
Meglio aspettare che quelli che lavoravano alla redazione fossero usciti per andare a prendere il solito caffe’. Lui sarebbe cosi’ riuscito ad avvicinarsi alle scarpe. L’importante era che non venisse notato da qualcuno che lo conosceva…
Decise di agire in questo modo e si fermo’ all’angolo della strada facendo finta di leggere il giornale. Due-tre giovani stavano ridendo di lui… Ehi zio, stai leggendo il giornale alla rovescia…!”
Oddio! Non sapeva dove mettere la testa dalla vergogna… I ragazzi erano andati via pensando che lui non sapesse leggere… La fronte gli si riempi’ di sudore mentre girava la testa a destra e sinistra per vedere se c’era qualcuno che l’avesse riconosciuto… Poteva anche darsi che i ragazzi che appena avevavo riso di lui sarebbero diventati i suoi studenti del prossimo anno.
Ma ecco il momento tanto sognato… i giornalisti stavano uscendo dalla radio, chiaccherando uno con l’altro ed entravano nel bar di fronte…
Ma,

come per destino, una macchina frenò di colpo, e si schiantò con un’altra. Nessun danno alle persone, ma tutti quelli che erano nei dintorni erano arrivati di corsa a vedere l’accaduto: come le mosche sul miele…

Mancava solo questo… Con coraggio si avvicinò al mucchio delle scarpe.
Lo zingaro era un maestro nel suo lavoro e per questa ragione il padrone gli aveva aumentato lo stipendio con duemila lek in più al mese. Lo guardò e capì che “l’amo” era stato gettato…
“Allora, signor professore!”.
Senti’ una fitta al cuore! Sapeva bene di non essere”un signore”. I signori non si avvicinavano a questi posti. I signori non compravano qui.
Per i signori c’era un negozio di fronte all’Universita’, un altro in piazza, la ditta ‘Fishta’…
Ma lo zingaro, come aveva fatto a capire che era “un professore”?
“Quanto costano, queste scarpe, sig…”
Non riusci a dire tutta la parola signore, riferita allo zingaro e ancora non aveva finito tutta la frase. Lo zingaro capi’ l’essenza del discorso e come un vero artista, gli misse davanti le scarpe tanto desiderate…
“Prendi, professore, non costano niente, solo cinquecento lekë…”.
Lo zingaro si era messo a parlare ad alta voce e lui senti’ addosso tutto il peso della vergogna. Pur se era la prima volta che comperava dalla ditta “Zinga”, sapeva benissimo che cos’era quella merce. Ma non aveva altra scelta… Sua figlia quest’anno cominciava lo scientifico e voleva un paio di scarpe nuove. Ma le scarpe nuove costavano quanto la meta’ del suo stipendio mensile… Cosi’ lui e sua moglie dovevano risparmiare e vestirsi con roba comperata dalla “Zinga”. Sapeva bene che quelle scarpe le aveva avute addosso un suo collega a Vienna o a Stoccolma e poi le aveva buttate via per sostituirle con un altro paio nuovo….
“Mi fai lo sconto, un piccolo sconto…” – sussurro’, come facevano spesso i suoi allievi durante gli esami.
Lo zingaro, interpreto’ l’ultima scena rimasta ed inizio’ a dire che il prezzo era abbastanza basso ed intanto face l’atto di ritirare le scarpe, ma il professore… No, le doveva comperare, e se domani non le avesse piu’ trovate?
In fondo poteva tranquillamente passare tutto l’inverno con quelle scarpe.
Alzo’ lo sguardo e si senti’ male. Di fronte a lui… il preside della scuola.
Lui e sua moglie ostentavano con orgoglio il loro modo di vestire. I loro vestiti erano spesso firmati: un loro parente in Italia glieli forniva ogni tanto.
Non sapeva dove sbattere la testa… Comincio’ a pensare ad una bugia… “Stavo per comperare un paio di scarpe per lavorare il giardino”
Il preside si era avvicinato al mucchio delle scarpe senza guardare ne’ a sinistra ne’ a destra. Era sicuro in tutti i suoi movimenti, come ogni preside…
Al professore le scarpe gli erano rimaste nelle mani che tremavano… Era sicuro che la sua bugia avrebbe avuto le gambe corte.
“Ho visto ieri un paio di scarponcini imbottiti” – disse intanto il preside e lo zingaro, senza perdere un secondo, strappo’ la scarpe dalle mani del professore e le mise in quelle del preside.
“Le ha appena lasciate questo signoreeeee – disse lo zingaro con tono ironico – Prego, sono Sue.
Il preside non poteva vedere il professore. Lui come ogni preside era interessato alla merce, alle scarpe.
“Non hai cambiato il prezzo di ieri?!”.
“No, e’ lo stesso. 500 lekë”.
“E, va bene!”
Il preside pago’, prese le scarpe e se ne ando’.
Il giorno dopo avrebbe raccontato ai suoi colleghi che le scarpe gli erano arrivate dall’Italia, dal suo parente.

Traduzione dall’albanese di Albana Temali

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Skender Temali

Quest’anno non ha nevicato (racconto)

Nonno, mi farai il puppazzo di neve quando nevicherà ?Il vecchio accarezzò i cappelli e forse in quei momenti stava pensando come sarebbe stato bello il cristallo di neve sopra i riccioli del bambino.
Certo che te lo farò gioia, senz’altro. Ti ho dato la mia parola.
Ma noi non abbiamo una carota per fare il naso e neanchè il carbone per fare gli occhi.
Il vecchio continuò ad accarezzare i capelli del piccolo.
Al negozio troveremo tutto.
Stasera nevicherà nonno. Guarda che tempo. Anche Ndue ha detto così.
Il vecchio sa di che cosa sta parlando il piccolo.
Era venuto un giorno un suo amico da Kelmend, Ndue Huta. Ndue teneva un cappellino bianco in testa ed un paio di baffi lunghi. A Shpend fecero molta impressione e chiese al suo nonno perchè zio Ndue teneva i baffi e lui no. Qualcosa aveva chiarito il vecchio, poi aveva raccontato che tutti gli uomini della montagna tenevano il cappellino e quasi tutti avevano anche i baffi. Stando in mezzo ai due uomini che parlavano fra di loro, Shpend aveva sentito il zio Ndue che diceva “all’inizio di Marzo si aspetta una grande nevicata”. Questa previssione era del suo Babbo che aveva più di cento anni e che da cent’anni non sbagliava. Al bambino cominciò a piacere veramente quest’uomo con il cappellino ed i baffi, forse per la sua presenza strana, forse perchè era l’uomo che doveva portare la neve….e si addormentò quella notte sognando la neve. Shpend non aveva mai visto la neve. Solo nei film. Così come anche il puppazzo di neve.Quante volte con il nonno, soprattutto in estate passeggiando sulla riva del lago oppure stando sotto l’ombra di un albero vedevano da lontano le Alpi. Il nonno allora cominciava a parlare delle nevi perenni, che non si scioglievano mai da quando era stata creata la terra. Così parlavano spesso loro. In estate per la neve ed in inverno per le cicale.
Il vecchio si chiese perchè sognava quello che a lui mancava, mentre il bambino con la sua immaginazione accesa vedeva la neve ad agosto e le onde del lago nel pieno inverno.Chi sa in che pensieri si perde il vecchio, quando parla Shpend. Forse sta pensando all’unico desiderio che non è riuscito a realizzare. Ma cosa deve fare al Tempo?!

Da tre inverni non nevica e sono tre inverni che il bambino chiede il pupazzo di neve. Una volta aveva anche pensato di andare da Ndue Huta , ma aveva avuto paura della chiusura delle strade. Aveva paura che il bambino giocando con la neve potesse prendere il raffredore e lassù come diceva Ndue non c’era nè un medico, nè un’infermiera.

Dall’altra parte era pronto a partire con il nipote per il paese delle nevi, a Puka. Quasi stava per dire il suo piano al bambino, ma presto decise di non dire nulla. Aveva paura. Aveva molta paura per Shpend.
Non voleva in nessun modo che si ammalasse per colpa sua. L’aveva tenuto bene da tre anni senza aver bisogno di dargli neanche un’aspirina e si sentiva felice, molto felice. Era troppo vecchio per sopportare tali emozioni, quando il bambino dalla febbre si copre di sudore e mettergli qualcosa di freddo sulla testa. Gli veniva in mente sua moglie quando faceva così con il loro figlio tutte le volte che lui aveva la febbre alta.

Tremava quando ricordava questo. Erano passati tre anni dall’incidente d’auto che avevano avuto il loro figlio, la nuora e la loro figlia più grande e Shpend era rimasto solo in questo mondo. Per questo il vecchio guardava il bambino come la luce dei suoi occhi e realizzava ogni suo desiderio.
Non è chissà cosa andare dalla loro città alla città sulle Alpi nel cuore dell’inverno: ma… meglio di no, forse veramente la neve potrebbe cadere a Scutari anche se sugli alberi che erano protetti dai venti i boccioli eranno aperti e stavano per fiorire.

Guarda il bambino ed il bambino guarda il nonno. Il vecchio lo sa che con gli occhi lui chiede ogni giorno la neve. Per questo butta lo sguardo alla finestra, come se volesse dire che devono aspettare il domani. Tra loro si è instaurato una collaborazione che non c’è psicologo che potrà capire. Il bambino in inverno aspetta la neve perchè con il nonno vorrebbe fare il pupazzo di neve. Aspetta a sentire i passi di sua madre, di suo padre e di sua sorella che vengono pieni di regali dall’estero appena apriranno la strada nella neve dalla porta della casa al cancello del cortile.

Così gli hanno detto: loro sono andati in un paese lontano e se non verranno quest’inverno torneranno in estate.
– E se compreremo prima la carota ed il carbone?

– Lo compreremo domani, Shpend, domani quando andremo fuori.
Escono tutti i giorni. Il bambino tiene il nonno per mano, come se fosse lui a portarlo fuori per una passeggiata.

Nel quartiere li conoscono tutti. Il nonno da nessuno è diventato qualcuno. Era stato un semplice lavoratore nell’edilizia, ma dopo la disgrazia e dopo che la gente aveva saputo che lui aveva deciso di crescere il nipotino, la sua figura era diventata popolare con dimensioni mai immaginate prima.
I vicini, non solo nei giorni di festa, bussavano alla sua porta. Qualcuno portava una torta salata, qualcuno un dolce, qualcuno qualcos’altro. Tutte cose che per la mano di un uomo sono difficili da cucinare. E tutte le volte, per non offenderlo, dicevano che le avevano portate per fare il piacere a Shpend.

Una nipote del vecchio, veniva tutti i giorni a pulire la casa, lavare i panni, stirare e spesso anche cucinava. Faceva il bagno al bambino e andava via in fretta perchè anche lei aveva una famiglia dall’altra parte della città. Lavorava come sarta in una ditta e si stancava molto, ma non si lamentava mai.

Spesso prendeva Shpend a casa sua, ma lo faceva raramente, poichè al vecchio non piaceva che Shpend dormisse da lei. Sopportava tutto, ma non il deserto che creava la macanza di Shpend in casa. In genere la nipote prendeva il bambino la domenica mattina, ma lui andava a prenderlo prima che arrivasse la sera.

– Nonno, dopo aver fatto il puppazzo di neve, io inviterò anche i miei compagni a giocare attorno a lui. Anche Lela, quella bambina con le treccine.
Il vecchio certamente risponde approvando, anche se non è convinto che sarebbe nevicato. Aveva sentito parlare del riscaldamento della terra. Erano tre anni che in città non nevicava e lui non ricordava che questo fosse mai successo prima. Desiderava come un bambino che la neve quest’anno fosse arrivata. Per questo domani, senz’altro domani, deve comperare qualche carota e dall’uomo delle caldarroste il carbone. Un cappellino e una sciarpa.

Aveva visto tanti pupazzi di neve. Teneva una cartolina che qualcuno aveva mandato a suo figlio per un Capodanno. Mai prima aveva fatto un pupazzo di neve.
Forse senza nessuna ragione si era avvicinato alla finestra.
Gli alberi del cortile erano sotto l’agonia della nascita. Sapeva che se non oggi, domani avrebbero potuto essere coperti di petali. C’era un susino di fronte. Un susino di Tropoja che sempre fiorisce per primo. Anno dopo anno. Ehh.., quando desidera che si copra di neve, anche solo per un giorno.

E’ così concentrato con gli occhi sul susino che Shpend si è avvicinato a lui come se gli avesse letto il pensiero.

– Chi sa quanto bello diventarà il susino se fosse coperto di neve! – disse il bambino.

Il vecchio gli accarezzò i riccioli di nuovo.
– Forse domani – se si salva “ Forse domani nevicherà”.

Shpendi prende la mano ruvida nella sua mano liscia e morbida.
– Forse stasera cadrà la neve – dice e gli occhi gli brillano.

Il vecchio capisce che non fà bene ad alimentare così tanto il suo sogno, ma la parola detta non torna indietro mentre da tempo lavorava, al contrario, per avvicinare il bambino alla verità.

Anche l’idea di qualcuno che al bambino dovesse essere nascosta la verità sull’incidente dei genitori e della sorella, non gli era sembrata così saggia, ma nel momento del lutto ed i giorni successivi non aveva avuto modo di dirgli la verità. Passò un po’ di tempo e sentì il peso della bugia che i parenti avevano detto al bambino di quattro anni allontanandolo dalla casa.

***
Il vecchio senti un botto nel petto. Aveva sentito anche altre volte una stretta del genere, ma aveva pensato che era una cosa passeggera poichè, come era venuto, era andato. Ma questa volta rimase a lungo. Sedette sul divano guardando Shpend che seguiva un cartone animato alla tv. Per ironia della sorte con un pupazzo di neve.
– Nonno, guarda nonno, ma noi lo faremmo ancora più bello!
Il bambino gioiva.
– Stara tutto l’inverno?
– Finchè non finisce l’inverno, – sussurra con fatica il vecchio.
Vuole avvicinarsi al cassetto dove tiene le medicine, ma non si fà vedere davanti al nipote.
Non vuole far capire che ha bisogno delle medicine ed interrompere la sua gioia.
Il bambino s‘incanta dietro il pupazzo di neve in tv. Segue con gli occhi della mente i bambini che girano attorno al pupazzo. Fa una capriola senza pensare che i bambini del filmato faccevano le capriole sulla neve e lui sul pavimento con le piastrelle. Il vecchio vuole dire “stai attento a non farti male”, ma non ne ha la forza. La camera per lui diventa buia. Il bambino fà anche un’altra capriola. Lo ha visto anche l’anno scorso fare queste capriole quando erano andati sulla spiaggia. E’ contento delsuo coraggio, anche se teme che si faccia male. Il cuore gli fa male ancora. Ma per il momento si sente meglio. Mette la mano sulla fronte e sente che il palmo si bagna di sudore. Fuori è diventato buio. E’ una notte con le stelle in cielo e che non ha bisogno di esser descritta.

La primavera è vicina. Sente di nuovo un altro dolore nel cuore, ma più leggero. Questa volta dal dispiacere per la mancanza della neve, per il pupazzo che rimarrà solo un desiderio non realizzato del bambino.

Shpend sente vicino alla finestra, guarda e guarda con la speranza che domani nevicherà. Il vecchio lo prende per mano e lo porta nella camera. Dormono insieme. Da quando era rimasto orfano l’aveva preso nella sua camera. Lui nel letto grande e Shpend nel lettino.
Uno in un angolo della casa e l’altro vicino alla finestra.
Il vecchio sta nel suo letto finchè si addormenta il bambino e poi si alza e va nell’altra camera dove passa tutta la notte. Si sveglia presto, come tutti i vecchietti ed il bambino non capisce che lui non dorme in camera con lui.
La notte é tenera con le stelle che brillano nel cielo.
La stretta nel cuore é passata, anche se aveva sentito bene “le campane” di prima. Doveva assolutamente andare a fare una visita dal cardiologo. Doveva andare domani.
Va a dormire e come in un caleidoscopio girano davanti a lui tante storie. Si sente pentito ogni tanto della decisione che ha preso di crescere il bambino. Forse avrebbe dovuto lasciar crescere il bambino da sua nipote con i figli di lei. Perché…di nuovo sentì una stretta al cuore. Forse dai brutti ricordi. Poi un’altra.
Tenta di avvicinarsi al cassetto e di trovare qualche medicina, ma non ne ha le forze. Dopo quella stretta ne arriva un’altra e lui…

***

– Nonno, nonno alzati, alzati ha nevicato!
Shpend scrolla le spalle del nonno, ma lui non si muove.
Guarda dalla finestra. Il susino e’ pieno di fiori con petali bianchi ma a Shpend, siccome non si e’

ancora svegliato del tutto, sembra di vedere il susino coperto di cristalli di neve.
– Nonno, alzati che dobbiamo fare il pupazzo di neve. Vieni adesso, non prendermi in giro. Lo so, lo so che mi prendi in giro perché ha nevicato.
Il bambino scrolla ancora una volta il vecchio che non si muove. Istintivamente appoggia la mano sulla sua fronte, ma la mano si raffredda. Non sa perchè il nonno è diventato gelato. Forse perché ha avuto freddo per la neve che è caduta.
– Nonno!…
Ma il nonno continua a non sentire. Non muove il piede, non si muove. Il bambino allontana la coperta e vede che anche gli occhi del nonno fissano la finestra oltre la quale il susino è coperto da un velo da sposa.
– Nonno!…
Lui esce dalla porta della casa. Le lacrime gli annebbiano la vista.
Non risesce a capire come sia possibile che abbia nevicato solo sopra il susino di fronte alla finestra e non sulla terra. Correndo ttraversa il cortile, apre il cancello e bussa alla porta della casa di Lela, della ragazza con le treccine. Vali, la madre della bambina gli aveva detto che se per caso il nonno avesse avuto bisogno di qualcosa, doveva bussare da loro. I vicini corrono subito. Capiscono che qualcosa di brutto ha colpito di nuovo la famiglia di Shehu. Lui rimane sul cortile con Lela.
Se il nonno si fosse svegliato come ogni giorno, di sicuro avrebbe preso per mano Lela ed avrebbe cominciato a raccontare come aveva nevicato sopra il loro susino.
Ma no. Si vede che il nonno era ammalato. Aveva preso freddo tutta la notte ed era diventato ghiacciato. Forse aspettando la neve, forse.. Non sa come spiegarselo, ma va via correndo con lo stupore di Lela.
Forse accellera la corsa l’urlo di una donna dalla sua casa. Sente che qualcuno chiama il pronto soccorso e la polizia.
***
La morte improvvisa del vecchio aveva creato un sentimento di dispiacere in città forse come quel giorno che si era saputo dell’ incidente del figlio, della nuora e della sua nipote.
All’indomani della morte, la zia Blerta si mise un abito che aveva cucito un mese fà. Al primo momento qualcuno voleva allontanare Shpend dalla casa.

Ma qualcun’altro lo contraddì ed il girono dopo mentre si riceveva la gente per le condoglianze, lo misero sulla poltrona in fila con altri uomini.
A qualcuno, questo gesto sembrò come un gioco, a qualcun’altro come una cosa saggia. Sarebbe stato lasciato lì forse fino a pochi minuti prima del funerale. Poi doveva arrivare il fratello del vecchio che abitava da sua figlia sposata a Korca. Toccava poi a lui di decidere che cosa si doveva fare da quel momento in poi.

Shpend stava come ingessato. Adesso aveva sei anni e quando gli dissero che il nonno stava andando in cielo, vicino a Dio, forse aveva capito, oppure no.
Aveva capito perché aveva visto alcuni funerali mentre passegiava con il nonno tutti i giorni per le strade della città e non credeva che lui sarebbe andato via così, all’improvviso, senza dargli un bacio sulle guance come faceva tutti i giorni, senza aspettare che la neve coprisse la terra.
La gente entrava ed usciva. Qualcuno gli toccava i capelli, qualcuno gli dava la mano come ai grandi. Così passarono i minuti, ricevendo e salutando gente che veniva per fare le condoglianze, finché arrivò un momento che non si sentirono più altri passi nel cortile. Si stava avvicinando l’ora del funerale.
Qualcuno degli uomini che ricevevano, accese una sigaretta, qualcuno si alzò in piedi per sgranchirsi le gambe.
Si sentiva solo qualche parola.
Di fronte a Shpend c’era la finestra oltre la quale rifletteva di luce bianca il susino di Tropoja. Il bambino aveva fissato lo sguardo sulla pianta. L’occhio si annebbiava guardando il bianco splendore dell’albero sul quale vedeva una volta i petali ed una volta il viso del nonno. Senza volere, gli uscirono le lacrime.
Tirò fuori il fazzoletto che zia Blerta gli aveva messo nella tasca del gilé e si asciugò le lacrime sotto lo sguardo piangente degli uomini nella camera.
– Gli uomini non piangono! – disse qualcuno.

Il bambino si senti uomo. Anche la zia Blerta gli aveva detto che era cresciuto e doveva ricevere nella camera degli uomini. Perchè così rispettava il nonno che l’aveva così tanto amato.
Qualcuno degli uomini guardò male chi parlò. Al bambino non si doveva dire nulla per le lacrime, poichè avrebbe potuto cominciare a piangere a dirotto.
Come volendo cambiare l’andamento del discorso, disse, per dire qualcosa:
– Interessante, quest’anno non ha nevicato.
Ci voleva solo questo perché il bambino non riuscisse più a trattenersi perchè quella mattina venne anche a lui il dubbio che sul susino non ci fosse la neve.
Cominciò a piangere a dirotto e fece commuovere tutti gli uomini che erano nella camera. Ma questo non durò tanto, perché si sentirono dei passi nel cortile. Qualcuno stava venendo per fare le condoglianze. Shpend si alzò di colpo e fece alcuni passi verso la porta della camera. Non stava bene che qualcuno venisse e lo trovasse piangente nella camera degli uomini, ma nel corridoio quasi si scontrò con un uomo con il cappellino e con i baffi grandi.
Era l’amico del nonno, Ndue Huta.

Traduzione dall’albanese Albana Temali.

sito personale : www.skendertemali.com

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